



Scritto il 26 Ottobre, 2010 | da piccardi | 4 Comments
In questo secondo articolo della serie dedicata alle bufale che si propagano riguardo la storia della stilografica, si parlerà della presunta invenzione della stessa da parte di Lewis Edson Waterman, avvenuta a causa della perdita di un contratto per una macchia di inchiostro.
Per chi non la conoscesse la storia, che nel mondo anglosassone viene indicata con il nomignolo abbreviativo di ink blot, è che la Waterman abbia avuto origine da un incidente occorso al suo fondatore. Questi era un assicuratore e dovendo concludere un importante contratto aveva comprato quello che alla fine del diciannovesimo secolo sembrava essere l’ultima meraviglia della tecnica, una nuovissima penna stilografica.
Purtroppo al momento cruciale della firma del contratto l’oggetto si sarebbe mostrato assai poco meraviglioso, rifiutandosi di funzionare correttamente e depositando sul contratto una bella macchia d’inchiostro al posto della firma.
A causa di tutto ciò l’affare sarebbe saltato, ma l’ardimentoso assicuratore, invece di prendersela con il produttore del fallimentare oggetto, si sarebbe incuriosito del funzionamento dello stesso, arrivando a capire le cause del problema e ad elaborare una soluzione, realizzando così la prima stilografica veramente funzionante.
La storia è affascinante e pittoresca e viene riportata anche in parecchi siti e libri sulla stilografica. Peccato sia totalmente falsa. E non solo per il fatto che all’epoca esistessero già delle stilografiche funzionanti per cui di certo quella di Waterman non era la prima. La ricostruzione dettagliata del “fattaccio” viene fatta in questo interessante articolo di David Nishimura, uno dei maggiori esperti mondiali di storia della stilografica.
Per quanti si dovessero trovare in difficoltà con l’inglese dell’articolo originale, proverò comunque a sintetizzarne i contenuti, esponendo le ragioni, a mio avviso inoppugnabili, che portano allo smascheramento della bufala.
La storia della macchia di inchiostro venne utilizzata con grande enfasi dall’azienda in occasione della celebrazione del proprio cinquantenario nel 1934 (in realtà si trattava del 51-simo anniversario, dato che la Waterman è stata fondata nel 1883, ma come abbiamo già visto i reparti marketing paiono avere qualche difficoltà a trovare le date esatte di fondazione…).
Il problema è che una ricerca fatta in tutti i cataloghi noti fino al 1933 non compare nessuna menzione di una storia così affascinante. L’unica menzione precedente pare essere (come segnalato da Nishimura) in un’altra pubblicazione del 1921, in un articolo pubblicato su una rivista di promozione aziendale nel campo della cancelleria.
Fin qui si potrebbe pensare che la storia poteva semplicemente esser stata dimenticata e riscoperta soltanto in occasione delle celebrazioni del cinquantenario. Il problema però è che una storia dell’azienda era già stata pubblicata, e direttamente dalla stessa su del materiale ufficiale e non su una rivista esterna. E questo avveniva nel 1904, a soli tre anni dalla morte del fondatore.
Ma in questa prima pubblicazione non esiste alcuna menzione di un inizio così fascinoso. Ed in quella storia, molto più vicina temporalmente alle origini della ditta, sono accreditati tra l’altro come fonti dirette il nipote del fondatore Frank D. Waterman, a lui subentrato nella conduzione dell’azienda, ed i distributori europei della L. & C. Hardmutd.
E’ ovvio che non è assolutamente credibile che nello stilare una storia dell’azienda nel 1904 si sia completamente ignorato o dimenticato una serie di avvenimenti così significativi che invece verranno ripresi in pompa magna decine di anni dopo. La conclusione è pertanto abbastanza scontata: la storiella delle origini divulgata nel 1934 (o nel 1921) è completamente inventata.
Da lì in poi quel che è successo è abbastanza normale, la storia è tutto sommato avvincente ed avventurosa, si trova sul materiale pubblicitario dell’azienda, e si racconta sicuramente meglio dell’oscuro lavoro di ricerca e sviluppo di un prodotto industriale, che lascia poco spazio all’avventura e molto al lavoro attento e scrupoloso.
Fatto sta che da allora molti testi dedicati alle stilografiche, anche famosi come quelli di A. Lambrou, e parecchi siti web han finito col riprendere acriticamente la storiella e riproporla pari pari. E un paio di anni fa la storiella faceva la sua figura anche sulla pagina dedicata alla penna stilografica di Wikipedia, prima che un qualche volenteroso facesse chiarezza…
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported.
Scritto il 21 Ottobre, 2010 | da piccardi | 1 Comment
Con questo articolo intendo iniziare una serie di articoli in cui cercherò di fare chiarezza su una serie di notizie/storielle/date/anniversari ecc. che risultano essere, quando non totalmente inventati, risultato di pesanti distorsioni dei fatti reali. In breve, parleremo di bufale.
Una delle bufale più clamorose, e che continua ad essere propalata a tutti a partire dal sito stesso della ditta, è quello dell’anniversario del centenario del marchio Montblanc che farebbe risalire la nascita della azienda (o del relativo marchio) al 1906 (si veda ad esempio la pagina ufficiale della storia dell’azienda, navigando indietro al 2006).
Comunque la si voglia mettere la cosa è una totale panzana. Come testimoniato in questo articolo dalla figlia di Claus Johannes Voss, uno dei fondatori, la Simplo Filler GmbH, nome originario della Montblanc, venne fondata nel Marzo del 1908. L’azienda assumerà il nome Montblanc soltanto nel 1934 (quando diventerà la Montblanc-Simplo GmbH).
Qualcuno potrebbe pensare che il nome fosse comunque già in uso per una qualche produzione precedente alla fondazione della ditta, ma anche questo non è vero, in quanto tutte le fonti (compresa quella diretta del precedente articolo) fanno risalire l’introduzione del nome Montblanc al 1910, con la produzione delle prime penne con testina del cappuccio bianco a fianco delle tradizionali “Rouge et Noir“.
Pertanto parlare come si fa nella pagina indicata dei 100 anni di anniversario del marchio nel 2006, è una palese invenzione priva di qualsiasi fondamento storico. In realtà non si capisce neanche da cosa derivi questa datazione, dato che nessuno si è degnato di offrire un riferimento di qualunque tipo.
La mia ipotesi è che si faccia riferimento all’inizio delle attività in Germania di August Eberstein che fu il primo direttore tecnico dell’azienda e fornì le competenze ed i brevetti iniziali, ma di certo questa presunta data del 1906, oltre a non essere documentata né provata in alcun modo, non avrebbe comunque nulla a che fare né con il marchio Montblanc, né con la fondazione dell’azienda.
Comunque sia, dato che la panzana viene propalata direttamente dal sito ufficiale della Montblanc, e che in tutti i negozi è stata venduta nel 2006 la penna del centenario, la falsa notizia si è diffusa a tappeto, tanto che ho dovuto provvedere personalmente a correggerla sulla pagina italiana, su quella francese e su quella inglese di Wikipedia, nella speranza che non succeda (come avvenuto per la storia del nome Meisterstück, che tratteremo in un prossimo articolo della serie) che qualcuno reintroduca l’errore.
Quello che trovo assolutamente incomprensibile nella faccenda sono i motivi per cui un’azienda di così alto rilievo e di grande attenzione alla propria reputazione come la Montblanc possa andare a cadere in una tale caduta di credibilità solo per anticipare di due anni la sua data di fondazione, che non è certo cosa che possa dare maggior lustro ad un marchio divenuto famoso soprattutto per l’assoluta qualità che (almeno per i modelli storici) distingueva la sua produzione.
Di certo, come vedremo nel seguito di questa serie di articoli, il loro reparto marketing non è nuovo ad interpretazioni molto liberali (ed assai poco coerenti coi fatti) quando si tratta di magnificare la storia dell’azienda, ma il farlo in maniera così maldestra non depone certo a loro favore, e sminuisce in generale la credibilità dell’azienda anche quando parla della qualità dei propri prodotti attuali.
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.5 Italy.
Scritto il 18 Ottobre, 2010 | da piccardi | 4 Comments
Da pochi mesi Pilot ha reintrodotto sul mercato una nuova versione del modello Falcon. La prima versione venne sviluppata nel 1970 grazie alla collaborazione con l’associazione Zenkoko Mannenhitsu Senmontenkai, un gruppo di appassionati di calligrafia giapponesi.
La versione originale degli anni ’70 era realizzata in resina plastica nera, la nuova versione è realizzata in metallo laccato, ed è disponibile in quattro diversi colori. Entrambe le penne sono realizzate con il classico caricamento a cartuccia, e fornite di un opportuno converter.
La caratteristica più interessante di questa penna è il pennino che per la sua particolarissima costruzione piegata risulta essere molto più flessibile dei normali pennini che si trovano sulle stilografiche moderne. Le dimensioni sono di 13,8 cm da chiusa e di 15,5 cm con cappuccio inserito sul fondo, il peso è di 34 grammi.
La penna ha una linea moderna e minimalista che risulta, almeno per i miei gusti, molto gradevole, anche per la forma particolare del pennino. Dal punto di vista stilistico riprende comunque lo stesso concetto del modello originale. Essendo realizzata in metallo risulta più pesante della versione precendente, questo aspetto è per me positivo, in quanto rende più stabile la scrittura, ma può essere negativo per chi apprezza la leggerezza. Il peso comunque non risulta eccessivo, almeno per il mio stile di scrittura, e la penna è ben equilibrata, e come materiale il valore è nettamente superiore alla plastica.
La scorrevolezza del pennino è perfetta ed il flusso di inchiostro impeccabile, anche per la misura SEF (extrafine) che è quella provata, e che in genere risulta la più difficile da realizzare, ma da una Pilot di fascia media (il prezzo supera i 150 euro) non c’era da aspettarsi altro.
Come accennato la caratteristica più importante di questa penna è quella della proclamata flessibilità del pennino. Su questo punto occorre però essere precisi: per quanto mi riguarda il pennino non può qualificarsi propriamente come flessibile, le prove di scrittura, riportate di fianco, mostrano sì una leggera variazione del tratto, ma a mio avviso non sufficiente a qualificarlo come tale.
Da questo punto di vista direi piuttosto che il pennino risulta essere quello che nel mondo anglosassone viene definito un semi-flex, e che in italiano qualificherei più come un pennino “molleggiato”. In sostanza il pennino, grazie alla sua particolare forma piegata, risponde facilmente alle variazioni di pressione senza impuntarsi o graffiare, rendendo la scrittura molto più gradevole.
Dovrei riassumere la recensione con dei voti, anche se questo tipo di valutazioni non mi ha mai convinto molto, essendo questi un po’ troppo aleatori, ma farò uno sforzo e proverò a quantificare le varie qualità della penna come:
Se dovete comprare una penna nuova, che scriva bene ed abbia una sua personalità, mi sento senz’altro di consigliarla, la linea semplice ed il pennino particolare la rendono la Falcon una penna che si distingue nettamente dalla produzione ordinaria.
Si ringrazia la Casa della Stilografica per aver messo a disposizione l’esemplare della penna con cui sono state eseguite le prove di scrittura qui riportate (mi scuso per la mia scarsa calligrafia) e che ha fornito l’immagine della penna riportata all’inizio dell’articolo.
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported.
Scritto il 13 Ottobre, 2010 | da piccardi | No Comments
Ho già parlato in precedenza dei Pen Show e di quali siano i loro aspetti più o meno interessanti. In Italia però è abbastanza difficile parlare di Pen Show, dato che, come accennato, si tratta più di riunioni fra collezionisti e rivenditori che di vere e proprie mostre mercato. Uno dei maggiori problemi che si riscontrano da noi infatti è la dimensione molto ridotta di questi eventi sia in termini di affluenza di visitatori, che soprattutto in termini di presenza di espositori e venditori.
Devo dire che non è sempre così e che non è mia intenzione sminuire gli sforzi di chi cerca di organizzarli (considerato che in un caso fra costoro c’ero pure anche io). Anzi considero un’opera meritoria quella della ACPS (Associazione Collezionisti Penne Stilografiche) che per molti anni è stata praticamente la sola realtà che ha mandato avanti questo tipo di eventi, quando non esisteva sostanzialmente nulla.
Ma negli ultimi anni tutte le “mostre/riunioni/pen-show” a cui sono stato si sono dimostrati di dimensioni molto ridotte e con veramente pochi espostitori, a parte due eccezioni, il pen show di Roma del 2007 organizzato da Tom Westerich, e quello di Firenze del 2008 organizzato da ACPS e Casa della Stilografica (e dal sottoscritto, per cui ne vado particolarmente fiero). Ed un basso numero di espositori si traduce in una scelta limitata, nella riproposizione di penne poco interessanti e spesso anche in prezzi piuttosto alti.
Quest’anno, avendo avuto contatto con una realtà internazionale (quella del Pen Show di Colonia) mi ha mostrato che quando uno di questi eventi coinvolge molte espositori si possono ottenere risultati eccellenti ed attrarre persone anche da altri paesi (con me ci sono riusciti…).
Ma andare all’estero non è una opzione né molto comoda né molto economica, per cui la si può prendere solo avendo un po’ di tempo libero ed essendo parecchio fissati, mentre quella di frequentare un Pen Show italiano, specie se si abita in una delle città dove vengono organizzati (Firenze, Roma, Bologna, Milano, Trieste), se non altro facilita la logistica.
L’ideale sarebbe riuscire a organizzare di nuovo un evento rilevante qui in Italia. Le premesse ci sarebbero tutte, anche per una buona partecipazione internazionale, l’Italia infatti è stato ed è tutt’oggi uno dei più rilevanti paesi produttori di stilografiche ed ha una storia invidiabile con marchi di rilevanza internazionale .
Il problema purtroppo, almeno fino ad oggi, resta quello organizzativo, i pen-show previsti per quest’anno infatti sembrano destinati a rimanere nella dimensione della riunione di collezionisti, e questo a mio avviso è il limite più forte, mancando ogni valenza culturale o informativa. La mia speranza è di poter replicare la mostra mercato del 2008, che ebbe un buon successo, anche grazie all’essere stata davvero anche una mostra (con tanto di esposizione di modelli rari) e non solo un “mercato”.
Purtoppo però non posso che rilevare con grande rammarico, specialmente fra i venditori italiani che almeno teoricamente dovrebbero essere i più interessati ad alzare il livello dei pen-show, uno scarissimo interesse ad ampliare le manifestazioni attualmente in programma e ad impegnarsi un minimo per andare oltre quello che è un interesse molto limitato ai soli aspetti relativi alla vendita.
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported.
Scritto il 8 Ottobre, 2010 | da piccardi | 1 Comment
Dopo aver preso in considerazione mercatini antiquari e pen-show, veniamo a quella che oggi è probabilmente la risorsa più usata, disponibile ed economica per trovare delle penne antiche: Internet.
In realtà parlare di Internet è dare un’indicazione molto vaga, esistono infatti moltissimi modo diversi con cui è possibile acquistare delle penne stilografiche antiche sulla rete. Esistono però dei tratti comuni e delle caratteristiche generali che vale la pena di approfondire.
La caratteristica più importante è quella della estensione mondiale della rete che porta alla possibilità di avere a che fare con venditori (e oggetti) sparsi su tutto il pianeta. La smaterializzazione della relazione col venditore rende possibile una ampiezza della ricerca di quel che ci interessa che è impensabile nel mondo fisico.
Ma se questo ha il vantaggio del portare la varietà e la disponibilità di penne antiche a livelli impossibili per qualunque altro mezzo, porta anche allo svantaggio di non poter “toccare con mano” l’oggetto che ci interessa. Il secondo svantaggio è che una volta comprato l’oggetto ci deve essere recapitato, e a parte la spesa della spedizione ci sono i rischi della perdita (cui si può rimediare con una assicurazione) e le attese che, nel caso di spedizioni provenienti da fuori la comunità europea rischiano di essere (causa dogane…) molto lunghe.
E qui si pone probabilmente il rischio più percepito quando si tratta di fare acquisti in rete, quello della perdita dell’acquisto (per una fregatura o qualche incidente). Il rischio è reale, ma in questo, come in altri aspetti, la rete non è poi molto diversa dal mondo reale, ed esistono varie contromisure ed accorgimenti (assicurazioni, garanzie, valutazione della reputazione del venditore) su cui non voglio soffermarmi dato che questo articolo vorrebbe trattare di penne stilografiche antiche e non di vendite in rete.
In genere comunque, anche quando si compra su Internet, avere buon occhio non guasta, e fare domande è spesso un buon metodo (fintanto che non si incontra un truffatore, cosa comunque possibile anche nel mondo fisico) per ottenere le informazioni che servono. Per questo quando si compra una penna su Internet occorre guardare attentamente le foto che in genere la presentano e chiedere una verifica dell’assenza di graffi o fratture, che possono essere poco evidenti, informazioni che in genere ogni buon venditore si premuta di fornirvi preventivamente.
Per il resto le modalità con cui si possono cercare le penne Internet non sono poi così diverse da quelle che ci sono mondo reale; si pensi ad esempio ad Ebay, che spesso viene percepito come la fonte per gli acquisti di penne su Internet. Essendo Ebay il più grande sito di aste on-line esistente, vede una enorme partecipazione di venditori i più vari possibile, ed è per questo abbastanza simile ad un enorme mercatino antiquario dove si può trovare di tutto. La differenza più grande è la presenza dell’asta, ma come in un mercatino occorre, tenere sotto osservazione le offerte, cercare ed avere occhio a vedere le cose.
Il vantaggio di Ebay è che spesso è possibile ottenere buoni prezzi, che specie per le penne americane sono nettamente inferiori a quelli che ci si sente chiedere in Italia. Inoltre è veramente difficile che vengano richiesti prezzi esosi per penne di scarso valore perché se anche qualche venditore li propone le aste finiscono per restargli deserte.
Una seconda possibile fonte di stilografiche d’epoca sono gli spazi “mercato” presenti su alcuni forum, ad esempio uno dei più frequentati è quello di fountainpennetwork.com dove molti collezionisti, americani e non, commercializzano le loro penne, in una sorta di micro “pen-show” permanente, dove viene chiesto un prezzo e si può accettarlo o meno o fare una controfferta.
Infine esistono, come nel mondo reale, molti “negozi” di venditori professionali che si rivolgono direttamente al pubblico, con tanto di listino delle penne ed informazioni dettagliate sulle penne. In genere in questo caso i prezzi sono, come è logico aspettarsi, più alti, ma si hanno anche delle buone garanzie sull’oggetto che si va a comprare.
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported.
Scritto il 25 Agosto, 2010 | da piccardi | No Comments
In questo secondo articolo della serie mi intratterrò su quella che a lungo è stata la mia fonte principale per la acquisizione di penne stilografiche antiche, quelli che nel mondo anglosassone si chiamano “Pen Show” e che in Italia sono molto più semplicemente qualificabili come mostre mercato (se si è in vena parecchio enfatica) o più semplicemente come riunioni di collezioni e venditori.
Rispetto ai mercatini antiquari il principale vantaggio di un Pen Show è quello che non è necessaria una estenuante ricerca per trovare qualche penna. Lo scopo infatti è quello di mettere in contatto diretto collezionisti e rivenditori, ed in questo caso le stilografiche saranno i protagonisti principali. Questo significa un discreto assortimento di marche e modelli, tanto più ampio quanto maggiore è la partecipazione di espositori, magari anche internazionali, al Pen Show.
Ma a parte la perdita del piacere della ricerca (che se continua a non dare frutti risulta essere poco piacevole), la contropartita in negativo di un Pen Show è che sarà molto difficile poter fare il grande affare comprando a poche lire una penna che il venditore non sa valutare. Vista la scarsità di queste occasioni, non credo però che si tratti di una perdita realistica.
La scarsa probabilità dell’affarone non significa però necessariamente che i prezzi di un Pen Show siano per forza superiori a quelli che si trovano nei mercatini antiquari, anzi direi che in media sono inferiori, sia perché nessuno si sognerebbe mai di chiedere cifre folli per penne insignificanti (che in genere neanche vengono proposte), sia perché c’è un minimo di concorrenza, sia perché si trovano più facilmente rivenditori esperti che non esagerano. Nella mia limitata esperienza infatti i pochi espositori trovati ai mercatini antiquari della zona di Firenze che portano delle penne, le vendono a prezzi improponibili in qualunque Pen Show.
Un’altro grande vantaggio dei Pen Show è poi la possibilità, se organizzati bene, dell’incontro fra collezionisti, cosa che consente di imparare molto ascoltando persone esperte. Molta della mia esperienza e delle mie conoscenze sono state ottenute grazie alle indicazioni ottenute nei Pen Show, sia da parte di altri collezionisti che di rivenditori appassionati al loro lavoro. Visitare un Pen Show è quindi comunque un’occasione, e vale la pena anche solo per questo.
Inoltre talvolta diventa possibile osservare (specie se qualcuno si è dato da fare per organizzare anche una parte che sia mostra, e non solo mercato) ed anche toccare con mano, anche se probabilmente resteranno fuori della portata delle proprie tasche pezzi estremamente rari. E di certo se ne troveranno di quelli di grande interesse storico dato che in realtà l’interesse storico in genere non coincide affatto con la rarità, visto che le penne di maggiore rilievo sono quelle che hanno avuto maggior successo e che per questo non sono poi così rare…
Nonostante i vantaggi descritti, per me ormai i Pen Show (almeno quelli Italiani degli ultimi anni) non sono più il luogo migliore per la ricerca di penne antiche. I prezzi infatti, probabilmente anche per la partecipazione piuttosto scarsa di espositori che è ormai una costante della realtà italiana, sono piuttosto alti e l’assortimento di penne limitato, ed Internet è diventata ormai il canale più interessante, ma su questo torneremo più avanti.
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported.
Scritto il 17 Agosto, 2010 | da piccardi | 2 Comments
Vorrei iniziare con questo articolo un piccolo ciclo su dover cercare (e trovare) penne antiche, esaminando alcuni possibili luoghi. Questo ovviamente dal punto di vista del collezionista, dato che non sono un rivenditore professionale, che certamente avrà qualche trucco in più nella manica, che purtroppo non conosco, o che non posso usare.
Quando ho iniziato ad appassionarmi di stilografiche, troppi anni fa, la mia fonte principale di “approvvigionamento” erano i mercatini antiquari. Non erano una grande fonte, sia perché le stilografiche antiche non sono molto comuni, e sia perché sospetto che anche allora i pezzi migliori venissero comunque rastrellati dai rivenditori professionisti. D’altronde per un rigattiere/antiquario non esperto del mestiere è probabilmente più semplice rivolgersi a qualcuno che conosce e che tratta la materia.
Per questo motivo non posso certo dire di aver fatto grandi affari, anche se allora qualcosa ogni tanto si trovava. Di certo non ho mai trovato il pezzo raro di grande valore comprato per poche lire, ma ogni tanto qualche stilografica interessante saltava fuori, e comunque il piacere della ricerca ed il divertimento di girare fra le bancarelle ripagava il tempo speso.
Nonostante il rivangare i bei tempi andati non sia nelle mie corde, devo purtroppo riconoscere che oggi non è più così, e che anzi il mercato antiquario è probabilmente il luogo peggiore per la ricerca di penne antiche.
La mia esperienza recente (neanche tanto, ormai sono vari anni che è così) infatti è che, anche le rare volte che capita di trovare delle penne, sembra che la stilografica sia ormai considerata tutti gli antiquari un oggetto raro e prezioso di per sé, per cui finiscono col chiederti decine di euro per qualunque schifezza malconcia che assomigli vagamente ad una penna, anche se poi l’oggetto non varrebbe neanche il tempo eventualmente impiegato a tentare di farla funzionare.
Se poi la penna è dotata di marchio noto, non ci vuole niente a sentirsi chiedere anche delle centinaia di euro. L’ultima volta che ho trovato qualcosa sul banco di un espositore di un mercatino, ormai parecchi mesi fa, erano due Parker Vacumatic ordinarie, entrambe non funzionanti, in condizioni mediocri ed una delle quali aveva pure il pennino molato. Nonostante questo mi son sentito chiedere cento euro cadauna e quando ho fatto notare i difetti mi son pure sentito rispondere che erano penne rare di grande valore e che cercavo di tirare sul prezzo.
Posso capire che un antiquario non esperto tema di dar via qualche pezzo raro per pochi spiccioli e per questo, visto che comunque ci sono penne antiche che valgono quelle cifre (ed anche cifre molto più esagerate) tenga il prezzo alto. Ma non capisco l’ignoranza, o meglio la pretesa di sapere le cose quando si è evidentemente ignoranti al riguardo. Oggi con una breve consultazione su internet si sarebbe potuto vedere in maniera assolutamente chiara che una penna del genere funzionante si ottiene facilmente per meno di 100 dollari.
Si può pensare che possa andar meglio trovando un antiquario che ha almeno una certa esperienza (ed un po’ di assortimento) in penne. A parte il fatto che ve ne sono pochissimi (nella mia zona ne conosco uno solo che le abbia sempre, altri che ogni tanto se ne procurano qualcuna) la mia esperienza, sia pure limitata, è di nuovo estremanente negativa. Tutti quelli che ho trovato con delle penne nei mercatini antiquari richiedevano prezzi assolutamente esosi e totalmente fuori mercato rispetto a quanto chiesto in un qualunque pen-show, anche prendendo come riferimento i pen show italiani che sono fin troppo cari (su questo torneremo in seguito).
In definitiva il mito del sumgai mi pare oggi sempre più lontano dalla realtà e per i collezionisti i luoghi dove cercare delle penne antiche a buon mercato (e con un po’ di assortimento) sono ormai molto diversi. Cercherò di parlarne ancora più avanti.
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported.
Scritto il 3 Agosto, 2010 | da piccardi | No Comments
Quella della preferenza fra il nuovo e l’antico è una delle diatribe più comuni fra i collezionisti di stilografiche, anche se in realtà i veri collezionisti sono solo quelli di penne antiche…
Con questo incipit fin troppo tranciante (ed un pochino esagerato) penso di aver dichiarato fin troppo chiaramente quale sia la mia personale preferenza, quello che vorrei fare è provare un po’ a motivarla.
La prima ragione che mi porta a preferire l’antico è che le stilografiche d’epoca sono gli originali, mentre le moderne sono molto spesso solo delle copie o delle riproposizioni di modelli già visti. E anche se le versioni moderne sono molto più rifinite e “abbellite” rispetto alle versioni a cui si ispirano, nel confronto diretto, come si può vedere nell’esempio delle due versioni di Duofold riportate nelle foto allegate, non c’è dubbio su a chi vada la vittoria (almeno per me…).
La seconda ragione è la personalità. Per me il maggiore problema con le stilografiche odierne è che ormai tutte sono (quando costruite decentemente, cosa che purtroppo non è affatto scontata) degli oggetti perfettamente funzionanti ma sul piano dello stile o sono delle sbiadite riproduzioni di vecchie glorie, o restano per lo più modelli sostanzialmente anonimi, e che si differenziano alla fine quasi soltanto per gli investimenti in marketing. Inoltre in termini di funzionamento fra una V-Pen Pilot da (a esagerare) 5 euro ed una Montblanc da 500 non ho mai riscontrato differenze significative. Nelle stilografiche antiche le differenze invece sono spesso evidenti, ed ha un altro fascino avere a che fare con una penna che quando è uscita ha segnato la nascita di un nuovo stile o di una innovazione tecnica.
La terza ragione sono i pennini. Le penne moderne hanno tutte invariabilmente pennini rigidi, questo capita anche sulle antiche, ma non su tutte. Certo i pennini attuali scrivono bene, sono efficienti e scorrevoli (almeno quelli medi, sui fini già è un discorso diverso). Ma chi ha provato almeno una volta un pennino flessibile non può che trovarli … “rigidi” appunto! La variazione del tratto, la pennellabilità, la adattabilità di un pennino flessibile, o anche solo mediamente flessibile, alle variazione della scrittura sono assolutamente introvabili in una penna moderna.
Ed infine … la storia. Una penna d’epoca porta con se la storia degli anni che ha visto, delle persone che l’hanno usata, delle innovazioni che l’anno preceduta o che lei stessa ha introdotto. Oggi una penna ben difficilmente può introdurre qualcosa di nuovo, può essere bella, di stile particolare, ma le novità artificiali (come l’uso di qualche materiale strano o pregiato) messe solo per distinguersi da una concorrenza che si basa sull’immagine, non han niente da spartire con quelle introdotte per una ragione specifica.
La sfida più difficile, almeno per me, oggi resta quella di trovare una penna nuova di cui fra qualche anno possa dire, appunto, che “ha fatto storia”.
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported.
Scritto il 1 Agosto, 2010 | da piccardi | 2 Comments
Personalmente trovo veramente antipatica la tendenza dei produttori, che mi pare per fortuna in una certa diminuzione, a immettere sul mercato una grande quantità di penne prodotte in edizione limitata (si fa per dire, dato che in genere si tratta comunque di migliaia) a prezzi assolutamente fuori di ogni logica.
Si vedono così prodotte delle penne che nella quasi totalità dei casi sono un inno alla pacchianeria o allo sterile esercizio di stile, con l’uso di materiali e meccanismi improbabili, e sostanzialmente di assoluta inutilità pratica, la gran parte delle quali, anche semplicemente a prenderle in mano, ti fanno capire subito di non essere state create per scrivere ma per essere “collezionate”.
Peccato però che con poche eccezioni, (le prime serie limitate della Montblanc come la Emingway e la Lorenzo, e poche altre), nonostante le altisonanti valutazioni che spesso si sentono dire da chi le possiede, quando si vanno a controllare i prezzi di vendita (ad esempio su Ebay) si può facilmente verificare come questi siano quasi sempre molto più bassi di quelli ufficiali di listino.
Per cui il mio consiglio riguardo le edizioni limitate è quello di evitarle proprio, o se ce n’é una che vi piace particolarmente, considerare bene la marca (se non è Montblanc è quasi sicuro che si svaluterà, cosa che accade comunque anche per le Montblanc) e magari comprarla dopo un annetto dall’uscita, quando di certo ci si sarà potuti fare un’idea del reale valore di mercato andando a guardare le relative quotazioni su Ebay.
L’acquisto di una edizione limitate comporta infatti una lunga serie di svantaggi:
Una lunga serie di svantaggi a cui difficilmente corrisponde un qualche vantaggio reale. Per cui se proprio si vuole investire in una collezione di penne, il mio consiglio più sentito è rivolgersi verso l’antico, o se piace il moderno, cercare un filone di interesse e perseguirlo con penne ordinarie, lasciando perdere le sirene (che si sa che fine facevano fare ai marinai) delle edizioni limitate.
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported.
Scritto il 30 Luglio, 2010 | da piccardi | No Comments
Il funzionamento di una penna stilografica è legato ad un complesso equilibrio di diverse forze che fan sì che la leggera pressione del pennino sul foglio permetta all’inchiostro di raggiungere quest’ultimo.
Per come è costruita, una penna stilografica non deve essere utilizzata mantenendone la punta verticale, ma appoggiata sul foglio in modo che la parte inferiore della punta del pennino strisci su di esso. Il grande vantaggio di una stilografica rispetto ad una penna a sfera o ad un roller (che devono essere usati verticalmente) è che questa consente di scrivere utilizzando angoli di scrittura molto diversi fra loro, ed una posizione della mano molto più naturale (basta lasciare che la penna si appoggi nell’incavo fra pollice ed indice). Inoltre le dita (la si tiene fra pollice ed indice, usando il medio come ulteriore punto di appoggio) devono essere usate soltanto per i piccoli spostamenti del tratto, e non per sorreggerla.
Infine una stilografica correttamente funzionante non richiede nessuna pressione per scrivere, il semplice peso della penna deve essere sufficiente a far iniziare la scrittura. L’uso della pressione serve invece a divaricare in maniera più o meno accentuata (a seconda della flessibilità dello stesso) le punte del pennino, consentendo di variare la dimensione del tratto, e rendendo così la scrittura molto più personale.
Tutte queste caratteristiche rendono la scrittura con una penna stilografica molto più comoda e confortevole rispetto a qualunque altro tipo di penna, consentendo sessioni di scrittura molto più lunghe e meno faticose. Per questi motivi ancora oggi, nonostante siano state introdotte tante tecnologie alternative, la stilografica viene considerata da chi scrive con continuità (scrittori, amatori, appassionati) come il miglior strumento per scrivere e tracciare segni su un foglio di carta.
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported.