



Scritto il 21 Dicembre, 2010 | da piccardi | No Comments
Ho appena ricevuto notizia di quello che risulta essere il primo Pen Show italiano del 2011, “IN(K)CHIOSTRO“, che si svolgerà a Roma il prossimo 3 Aprile. Questa la comunicazione da parte di Tom Westerich:
Cari amici delle Penne,
finalmente abbiamo trovato un luogo perfetto per il prossimo ROMA Pen
Show 2011.Ecco i primo dati base:
La mostra si terra al centro centro di Roma,
presso la Chiesa Sant Andrea delle Fratte, nel chiostro.Ingresso, come si deve, e libero.
Per Espositori, i tavoli vengono costare circa 100 Euro
Venditori ambulanti pagano un 20 Euro per coprire un po le spese
enorme per creare questo evento.Fra poco, si installa la pagina web per raccogliere piu informazioni.
Cordiali saluti
Tanti Auguri per le festeTom Westerich
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Scritto il 17 Dicembre, 2010 | da piccardi | 3 Comments
Nella ricerca di qualche penna moderna che meriti un minimo di interesse, mi sono imbattuto nel modello Zoom 101 Carbon della Tombow. Nonostante si tratti di una azienda le cui origini sono quasi centenarie (Harunosuke Ogawa iniziò le sue attività nel 1913 con la produzione di matite) la Tombow oggi è nota soprattutto per la produzione di strumenti di scrittura caratterizzati da design moderno ed innovativo.
Benché l’azienda produca principalmente penne a sfera, roller e matite meccaniche, non ha disdegnato la produzione di alcune stilografiche, caratterizzate sempre da una estetica innovativa nelle forme e nei materiali.
In questo caso la caratteristica principale del modello preso in considerazione è la leggerezza. La penna pesa appena 14,5 grammi comprese le due cartucce contenute nel corpo, ed è una delle stilografiche più leggere fra quelle in vendita oggi (probabilmente la più leggera, se si escludono quelle prodotte in plastica).
La leggerezza è dovuta alla scelta dei materiali, il corpo infatti è in fibra di carbonio, mentre sezione, clip e testa del cappuccio sono in duralluminio (una lega molto leggera di alluminio, magnesio, manganese e rame). Il pennino è in acciaio rodiato, disponibile on tre misure: fine, medio e broad.
Lo stile della penna è molto moderno, semplice e lineaare e, almeno per i miei gusti, accattivante. Il corpo in fibra di carbonio è in grigio scuro e riporta un motivo ondulato; il contrasto con il grigio chiaro delle parti metalliche è gradevole. La clip è a molla e molto funzionale.Le finiture e la costruzione risultano assolutamente impeccabili.
L’apertura del cappuccio è a scatto, mentre è abbastanza peculiare la modalità di incastro del cappuccio sul fondello della penna, dove viene tenuto in posizione da un O-ring in gomma. Essendo nuova l’apposizione del cappuccio risulta un po’ forzosa, ma questa caratteristica assicura una buona tenuta. Il caricamento è a cartuccia, e prende cartucce standard. Il corpo ne può contenere agevolmente due, sostituibili da un converter a stantuffo.
La penna, per quanto possa aver senso parlarne vista l’estrema leggerezza, si può considerare ben bilanciata, dato che nell’uso è sostanzialmente inavvertibile sulla mano. Il flusso, con il pennino medio, è generoso ed il tratto è scorrevole, il pennino però risulta molto rigido (come del resto normale per le penne moderne). Avendola provata solo per intinzione non sono in grado di giudicarne il comportamento in caso di avvio “a freddo”.
Veniamo al solito rituale del giudizio complessivo espresso in voti. Come per le altre recendioni si ricorda al lettore di prendere gli stessi con la dovuta cautela, essendo scontato che sono conseguenza dalle opinabilissime preferenze personali dell’autore:
Al solito si ringraziano gli amici della Casa della Stilografica per aver messo a disposizione l’esemplare della penna con cui sono state eseguite le prove di scrittura qui riportate, e per aver fornito le fotografie usate nell’articolo.
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Scritto il 14 Dicembre, 2010 | da piccardi | 2 Comments
Con la scannerizzazione dei documenti brevettuali e la loro indicizzazione, sono state rese disponibili per chi si interessa alla storia della stilografica una gran quantità di informazioni interessanti, che talvolta, come nel caso della relazione Columbus-Swan già vista in precedenza, portano pure a delle sorprese.
Una seconda sorpresa, almeno per me, è uscita dalla ricerca effettuata sul database dei brevetti registrati negli Stati Uniti sul nome del cav. Armando Simoni. Risultano infatti due brevetti, uno del 1951, più noto, per il particolarissimo e geniale pennino della 361, ed uno del 1930, n. 1784078, assolutamente sconosciuto, per un originale meccanismo di caricamento, dalle caratteristiche simili ad un pulsante di fondo.
Il meccanismo è piuttosto complesso e sembra davvero interessante. Come nel caso del sistema a pulsante di fondo lo scopo del nuovo meccanismo sembra quello di voler evitare la apertura laterale della levetta. A differenza del pulsante di fondo però in questo caso la compressione è realizzata dalla rotazione di un pomello, a cui si accede rimuovendo il fondello della penna. Detta rotazione provoca la compressione del sacchetto grazie allo spostamento di una leva mossa da un eccentrico manovrato dal pomello.
Benché potesse costituire una interessante alternativa sia alla levetta che al normale pulsante di fondo, per quel quanto ne so questo sistema di caricamento non risulta essere mai stato adottato su nessun modello prodotto dell’azienda. Può darsi si tratti di una delle innumerevoli invenzioni che non hanno avuto un seguito, ma mi pare strano che l’azienda vi abbia rinunciato, visto lo sforzo fatto per depositare il brevetto negli Stati Uniti.
Nella speranza che qualcuno più addentro di me alla storia della Omas possa chiarire l’arcano, resteremo, come per mille altre cose, col dubbio sulle origini e la fine di questo brevetto.
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Scritto il 6 Dicembre, 2010 | da piccardi | 3 Comments
Con un po’ di ritardo rispetto alla precedente pubblicazione delle foto, segue un breve resoconto sul Pen Show di Bologna dello scorso 28 Novembre. Purtroppo per un gruppo di concause (maratona di Firenze con blocco della stazione che mi ha obbligato ad andare in macchina e nevicata che mi ha costretto a partire prima di restare sepolto sotto i cumuli) sono potuto restare brevemente, arrivando tardi e partendo presto.
Dal punto di vista della partecipazione devo dire che il Pen Show è stato senz’altro un successo, quasi una ventina di espositori ed un pubblico piuttosto nutrito. Non conosco l’affluenza totale, essendo partito prima della conclusione, ma dovrebbe senz’altro aver superato il centinaio di persone. Purtroppo essendomi dimenticato a casa la macchina digitale le foto le ho fatte col telefonino, con gli scarsi risultati che tutti possono notare.
La giornata comunque, per quanto breve, è stata molto gradevole, c’era un’ottima varietà di penne, con un paio di espositori stranieri, gradevole novità rispetto alla scarsa (diciamo nulla) partecipazione riscontrata in altre occasioni. Peccato che la prossimità al periodo natalizio abbia scoraggiato i venditori che avevano anche un negozio da tenere aperto. Ho comunque avuto fortuna e sia pure a caro prezzo sono riuscito a farmi un regalo di Natale su cui avrò modo di tornare con calma più avanti.
Delle molte penne interessanti che ho visto, quella che vince il premio della più significativa, per il mio gusto personale, è la imitazione della Duofold riportata qua sopra. La sua particolarità, che la rende veramente rara (di imitazioni della Duofold ne esistono centinaia) è che si tratta di uno dei primi modelli prodotti dalla Omas, con tanto di pennino e clip marchiati dalla ditta, oltre al corpo, come risulta evidente dalla seconda immagine.
Si tratta di una penna davvero rara, ed è la prima volta che mi è capitato di vederne una dal vivo; per un Pen Show che si tiene a Bologna un degno omaggio alla città sede dell’azienda produttrice. La penna non era in vendita (sarebbe comunque stata senz’altro per me fuori budget) e posso solo ringraziare Marco per avermela fatta esaminare e fotografare, anche se purtroppo i risultati sono stati estremamente scadenti.
Per il resto i temi restano gli stessi, una netta predominanza di interesse per le penne italiane, come sempre molto (anzi troppo) care, ed un evento che comunque è rimasto, almeno fin quando son stato presente, piuttosto confinato alla cerchia degli appassionati dell’antico. Questo mi ha consentito un sacco di chiacchiere con alcuni amici presenti qui e sul forum, ma resto dell’idea che sarebbe molto più interessante (e potrebbe coinvolgere nuovi acquirenti) se si riuscisse a fare un evento con una forte valenza culturale oltre che puramente commerciale.
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Scritto il 1 Dicembre, 2010 | da piccardi | 1 Comment
Lo scorso 28 Novembre si è tenuta a Bologna la terza ed ultima mostra-scambio di penne stilografiche organizzata dalla ACPS. La mostra ha visto una nutrita partecipazione sia in termini di espositori che di pubblico. Di seguito qualche fotografia raccolta con il telefonino.
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Scritto il 19 Novembre, 2010 | da piccardi | 2 Comments
Negli ultimi tempi sembra essersi risvegliato un certo interesse dei produttori di penne stilografiche per la introduzione sul mercato di penne dotate di pennini flessibili, recuperando una delle caratteristiche di maggiore interesse che si possono trovare sulle penne antiche.
In questa recensione prenderemo in esame la Stipula modello T, una penna entrata in commercio all’incirca un anno fa. La penna si ispira al famoso Modello T, la prima auto di Henry Ford, e come questa è stata realizzata inizialmente in versione unica, sia nelle dimensioni della penna che del pennino, ed in un solo colore, il nero.
In realtà la fedeltà alle caratteristiche originali della Ford Modello T (ed in particolare all’unico colore in cui venne prodotta) non si è protratta a lungo e la penna è stata realizzata anche in altre due versioni in resina plastica di colori marrone e grigio variegato, denominati rispettivamente “pirite” e “grafite” (in somiglianza dei rispettivi minerali).
Personalmente (ma è una stretta questione di gusti) trovo che questi colori disturbino un poco l’estetica della penna (in particolare il “pirite” stona con il grigio del pennino) e preferisco la versione nera, anche se la decorazione della clip è più elegante nelle versioni colorate.
La penna è caratterizzata da una linea molto affusolata e da finiture in metallo cromato. E’ di dimensioni generose e ben equilibrata. Si scrive bene sia con il cappuccio calzato che senza. Il flusso dell’inchiostro è abbondante e la scorrevolezza piuttosto buona.
Il caricamento è il classico cartuccia/converter ma la chiusura del corpo è dotata di guarnizione a tenuta, cosa che renderebbe possibile, anche se dal mio punto di vista assolutamente poco pratico, usare l’intero corpo come serbatoio, come nelle stilografiche con caricamento a contagocce della fine del 1800.
La caratteristica distintiva di questa penna resta comunque il suo pennino flessibile realizzato in titanio, che, praticamente unico nel panorama della produzione recente di stilografiche, si dimostra essere davvero un pennino flessibile (anche se forse sarebbe più appropriato chiamarlo un demi-flex).
Come si può infatti evincere dalla prove di scrittura riportate di seguito il pennino consente una effettiva variazione del tratto con l’aumento della pressione applicata. Questa non è delle più ampie, e resta significativamente inferiore a quella che si può trovare nei veri pennini flessibili dei modelli antichi, ma è comunque assolutamente apprezzabile.
L’unico difetto del pennino è casomai che, essendo questo disponibile in misura unica corrispondente ad un medio, lo spessore di partenza risulta comunque significativo, riducendo di fatto l’ampiezza di variazione del tratto rispetto a quella che si sarebbe potuta ottenere con un fine. Ma di nuovo più che di un difetto dello stesso si tratta piuttosto della impossibilità di una corrispondenza al mio gusto personale, che mi porta prediligere i pennini fini ed extrafini.
Proverò di nuovo a riassumere il giudizio complessivo della recensione in una serie di voti, come fatto per la in precedenza per la Pilot Falcon, ma anche in questo caso si avverte il lettore di prendere gli stessi con la dovuta cautela, essendo scontato che sono pesantemente influenzati dalle preferenze personali dell’autore:
Si ringraziano gli amici della Casa della Stilografica per aver messo a disposizione l’esemplare della penna con cui sono state eseguite le prove di scrittura qui riportate e per aver fornito la fotografia usata nell’articolo.
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Scritto il 11 Novembre, 2010 | da piccardi | No Comments
Il prossimo 28 Novembre si terrà a Bologna l’ultima delle mostre/scambio organizzate dalla Associazione Collezionisti Penne Stilografiche (ACPS) per il 2010. Sarà un’occasione interessante di incontro con altri collezionisti, ed una buona scusa per fare quattro chiacchiere fra amici.
Questo il testo della comunicazione inviata ai soci:
Carissimo,
Ho il piacere di comunicarti che il giorno 28/11/2010 si terrà a Bologna la prossima mostra scambio di penne stilografiche e materiali di scrittura organizzata dalla nostra associazione con orario dalle ore 10 alle 16.
La mostra si terrà presso Hotel Mercure (di fronte alla Stazione Centrale) a Bologna. L’ingresso è riservato agli associati dalle ore 10 alle 13 e libero dalle ore 13 alle ore 16.
Se sei interessato potrai prenotare un tavolo per esporre la tua collezione o le penne che vuoi scambiare contattando entro il giorno 16 Marzo, Marco Vanzi (055.7398731 – 333.8175873) o Giovanni Scrivere (348.2110095 – 055.578236) oppure inviando una email ad acps.segreteria@gmail.com.; per l’utilizzazione del tavolo l’associazione chiede un rimborso spese di € 70,00. Per l’allestimento del tavolo è consentito l’ingresso dalle ore 8.30 ed è richiesta la presenza fino a chiusura mostra (ore 16). Cordiali Saluti
Scritto il 6 Novembre, 2010 | da piccardi | No Comments
Dopo aver trattato in un precedente articolo una penna nuova con un pennino semi-flessibile, in questa seconda recensione prenderemo in esame una penna d’epoca, stavolta dotata di un pennino veramente flessibile.
La penna in questione è una Kaweco Dia, di datazione incerta, il modello infatti è stato introdotto nel 1934 e mantenuto in produzione come modello di fascia bassa anche nel dopoguerra. La cronologia dei prodotti della Kaweco non è molto precisa, nonostante l’azienda sia stata uno dei maggiori produttori tedeschi, attiva sul mercato ben prima delle più famose Pelikan e Montblanc.
Per questo motivo non è facile datare la penna in questione. Essendo realizzata in celluloide, è molto verosimile che sia un prodotto precedente alla guerra, ed il pennino in acciaio può addirittura far pensare che sia proprio di quel periodo, ma questa non può essere che una supposizione, anche perché il pennino potrebbe essere una sostituzione successiva. Per non sbagliare la si può collocare fra la metà degli anni ’30 e l’inizio degli anni ’40.
La penna è di dimensioni medie, e molto leggera. La celluloide è nera con la sezione finale del corpo trasparente, di colore verde, che consente di visualizzare il livello dell’inchiostro. Il caricamento è a stantuffo, utilizzabile tramite un pomellino coperto dal fondello della penna, che deve essere svitato per poterlo azionare.
La penna reca sul corpo l’incisione Kaweco Dia e, come consuetudine per la produzione della Kaweco, il numero del modello con la misura del pennino (85A e M) appena sopra il fondello. L’incisione del marchio è anche sulla clip, realizzata col classico montaggio ad anello, che presenta alcune incisioni decorative. La testina del cappuccio è decorata con un inserto metallico dorato raffigurante il logo dell’azienda (in un ottagono che circonda un cerchio diviso in tre parti contenenti le tre sillabe Ka We Co).
Come per tutte le penne antiche la penna risente dei segni del tempo, le due verette sul cappuccio sono leggermente allentate, e sul pennino restano solo delle tracce della doratura iniziale. La conservazione del corpo e del cappuccio è buona e non sono presenti né rotture né graffi evidenti. Lo stantuffo è stato restaurato sostituendo la guarnizione di sughero e funziona correttamente.
La penna senza cappuccio è piuttosto corta e per i miei gusti risulta appena appena squilibrata, si usa in maniera eccellente invece col cappuccio inserito sul fondello, operazione però richiede che si applichi un po’ di pressione a causa di una una leggera restrizione dell’interno del cappuccio che rende difficoltoso l’incastro al solo appoggio.
Il maggior pregio della penna è il suo pennino, un medio flessibile. Nella scrittura leggera è appena appena graffiante (risultato probabilmente dell’uso da parte di una mano diversa dalla mia, niente che una passata di micromesh non possa curare più che adeguatamente). Ma la vera delizia è quando si applica un po’ di pressione, le punte si divaricano ed il flusso diventa abbondante. Le prove di scrittura riportate in figura mostrano più che adeguatamente la variazione di tratto ottenibile.
Trattandosi di una penna antica non mi pare il caso di esprimere dei voti su questo modello, dato che il risultato dipenderebbe non solo dalle sue qualità intrinseche ma anche dallo stato di conservazione, e sarebbe quindi di assoluta inapplicabilità in un confronto con altre penne.
Giudicherò pertanto soltanto la qualità della scrittura di questo specifico esemplare, che merita un 9.5 per la flessibilità del pennino (che non è un 10 solo perché essendo questo un medio il tratto base risulta troppo spesso per i miei gusti).
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Scritto il 3 Novembre, 2010 | da piccardi | 11 Comments
In questo terzo articolo della serie prenderemo in esame un’altra controversa (a voler esser buoni) interpretazione storica fatta dal reparto marketing della Montblanc, che favoleggia della creazione della linea Meisterstück (o della collezione, come si dice in questo articolo) nel 1924.
La controversia ha vari aspetti, il primo e più evidente è che quando parla di Meisterstück l’azienda finisce sempre per far riferimento alla 149, che è una penna completamente diversa dal primo modello a cui venne dato questo nome, di cui si è riportato un esempio qui a fianco.
La cosa è particolarmente sfacciata nel sito ufficiale dell’azienda, dove, quando si va a consultare la sezione storica e si naviga all’indietro fino al 1924, invece della versione originaria viene riportata una 149. Per chi non lo sapessa questa è una penna che in realtà venne introdotta sul mercato soltanto nel 1952, e che, come si può vedere dall’altra figura qui sotto, ha ben poca somiglianza con la sua antenata.
La “bufala” consiste nel fatto che si cerca di dare ad intendere che si tratti della stessa penna, con una didascalia intitolata ad effetto come “nascita di un mito” a fianco della foto modello nato quasi vent’anni dopo, che poi prosegue, nel testo presente nella versione inglese, con una frase conclusiva che tradurrei approssimativamente con “simbolo della filosofia aziendale di continuità e di un design senza tempo”.
Solo che nell’esempio scelto il design lo scorrere del tempo lo ha sentito eccome dato che le due penne, come chiunque può vedere dalle foto, sono totalmente diverse fra loro, e la sola continuità che hanno è soltanto quella dell’uso dello stesso attributo, Meisterstück.
E’ curioso notare poi che in Italia forse si sono accorti di avere esagerato un po’ (avranno letto la mia pagina del Wiki?) e quando si va sulla stesso anno nella storia in italiano invece che in quella in inglese, la didascalia dice, in maniera più corretta, che la “penna stilografica Montblanc 149 ha successivamente completato la serie”, introducendo almeno un minimo di distinzione ed un filo di correttezza storica.
Resta il fatto che anche nella versione italiana si mette alla data del 1924 una penna odierna (che si badi bene non è neanche la versione originale del 1952 del modello 149, quella riportata nella fotografia precedente, ma quella in commercio oggi, che è piuttosto diversa) e si parla del completamento di una fantomatica serie Meisterstück che in realtà non è mai esisista.
Il significato originale della dizione Meisterstück,” capolavoro”, (tra l’altro tradotto in Masterpiece o Chef d’Oevre sulla produzione destinata all’esportazione), era infatti quello di indicare, all’interno della produzione dell’azienda, quale fosse la linea delle penne della fascia di maggior pregio, per le quale veniva anche fornita una garanzia a vita. In sostanza qualcosa di molto simile alla qualificazione “Lifetime” introdotta dalla Sheaffer ben tre anni prima, nel 1921.
E come per la qualificazione “Lifetime” anche quella di Meisterstück è stata usata per delle serie di penne completamente diverse fra loro, a partire dalla prima serie degli anni ’20, che vedeva qualificati come tali i modelli 25, 35, e 45, con la ristilizzazione degli stessi nel 1930, che portò ai modelli 20, 25, 30 e 40 e poi ai numerosi modelli che si qualificavano come tali nella riorganizzazione della produzione del 1934, con le serie 10x, 12x e 13x (rispettivamente con caricamento di sicurezza, a pulsante e a stantuffo).
In seguito con lo stesso nome venne indicata la serie 14x, cui appartiene come ultima prodotta la 149 del 1952, e le serie 64x e 74x, di nuovo molto diverse fra loro. Il tutto con una diversità estrema negli stili, nei colori e nei sistemi di caricamento, e per le quali la sola costante è sempre stata, perché quello era il significato del nome, di avere la qualifica Meisterstück in quanto indicate come fascia di punta della produzione.
Ma se nella poche righe della storia ufficiale è presente una certa distorsione (sfacciata in quella inglese, più corretta nella versione italiana), ben altro avviene in questo articolo, pubblicato sul materiale promozionale del sito, dove il reparto marketing dà davvero il massimo.
Dopo aver giocato ancora sulla ambiguità della “collezione Meisterstruck” (mai esistita, se non nelle loro elaborazioni) si conclude l’articolo con un paragrafo in cui afferma, tradotto brutalmente, che questa deriva la sua singolarità da un immutato insieme di tratti:
Tutti tratti questi che sono certamente distintivi dell’attuale versione della 149, ma che se si guarda la storia delle penne che hanno portato il nome Meisterstück sono uno più falso dell’altro (tranne in parte, a voler esser buoni, l’ultimo).
L’ultimo non è falso nel senso che la stella sul cappuccio c’è sempre stata davvero su tutti i modelli Meisterstück, ma questo vale non solo per loro ma anche per tutti gli altri modelli prodotti dell’azienda a partire dal 1913, quando questo simbolo venne introdotto e da allora in poi utilizzato per tutta la produzione, compresa quella che non era Meisterstück. Per cui se è vero che c’é la stella sul cappuccio, di certo non è vero che questo era un tratto distintivo dei modelli Meisterstück.
L’affermazione sul corpo in preziosa resina nera è invece una panzana totale. Tralasciando il fatto che le versioni storiche erano realizzate in celluloide, che è molto più preziosa di qualunque plastica odierna (perché di plastica si tratta, anche se la chiamano resina preziosa), il colore nero non è mai stato un tratto distintivo. A parte l’esempio in rosso mostrato nella prima foto, sono stati usati i colori più vari, lapislazzulo, verde giada, nero e perla o il bellissimo “Platinum” (anche se quelli diversi dal nero sono in genere molto rari ed estremamente costosi). E anche nella serie 14x erano presenti versioni in celluloide striata verde e non solo nera. Solo la 149, ultima della lista, è stata prodotta solo in celluloide nera.
Sulla stampigliatura 4180 sui pennini si è detto nello stesso articolo 4 righe prima che è stata introdotta nel 1929, che è diverso dal 1924. Inoltre i pennini prima della guerra (ed anche dopo per vari anni) erano in oro a 14 carati tranne che per la produzione francese, l’uso generale dei 18 carati è molto più recente. E solo alcuni modelli avevano pennini rodiati e bicolori. Per non parlare delle versioni con pennini prima in palladio e poi in acciaio prodotte durante la guerra, quando l’uso dell’oro era vietato.
Sulle verette poi si va davvero sul ridicolo. Lasciando perdere la gran varietà di decorazioni usate (comprese delle semplici incisioni quando in tempo di guerra non si poteva sprecare metallo per le verette) bisogna ricordare che proprio la prima versione di quella 149 che compare sempre sul sito quando si parla di Meisterstück aveva i due anellini intorno alla vera principale in argento massiccio e assolutamente non dorati (come si può notare nella foto precedente).
In questo caso la bufala è più sottile e meno eclatante di quella sulla data di fondazione, ma a mio avviso ancora più ingannevole, perché tende a proporre un’immagine falsata di un’azienda che avrebbe ottenuto il suo “design senza tempo” fin dal 1924, accreditandosi una continuità di stile che non esiste e non è mai esistita.
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Scritto il 30 Ottobre, 2010 | da piccardi | 2 Comments
Ieri sera, sorpreso di aver trovato quasi per caso un brevetto sconosciuto di Dante Zerollo, mi sono dato ad alcune ricerche selvagge sui vari database dei brevetti, ed ho incominciato a trovare alcune “sorprese”. Come quella di una relazione, a me completamente ignota, fra la italiana Columbus, o meglio fra il suo fondatore Eugenio Verga, e la anglo-americana (anzi all’epoca dei fatti ormai sostanzialmente solo anglo) Swan Mabie Todd.
Il brevetto, che si può ottenere a questo indirizzo, attiene al cosiddetto caricamento a cucchiaio (chiamato così per la forma del meccanismo di leva usato per comprimere il sacchetto di gomma che contiene l’inchiostro). Il sistema venne usato all’incirca dal 1929 (le date della produzione Columbus non sono molto ben definite) ma il brevetto è del Novembre 1932 e la richiesta è del Marzo 1931.
La “stranezza” della vicenda è che mentre l’inventore riportato dal brevetto è Eugenio Verga, l’assegnatario (il cosiddetto applicant) è la Mabie Todd and Company, una delle più grandi ed antiche aziende del mondo della stilografica, nota univeralmente per il marchio Swan, nata a New York nel 1843 e poi acquisita dalla filiale inglese nel 1915, per la quale non era nota, almeno al sottoscritto, alcuna relazione con la Columbus.
Il perché la ben più grande e famosa azienda anglo-americana abbia acquisito il brevetto della casa italiana e lo abbia registrato in Canada è ovviamente del tutto ignoto. Il fatto che compaia solo in Canada può essere anche solo dovuto al fatto che in altri paesi i relativi documenti non siano ancora stati resi disponibili in forma elettronica indicizzata, ma questo potrà essere eventualmente saputo solo ripetendo la ricerca fra qualche anno.
E’ strano comunque che non risulti nulla negli Stati Uniti, dove comunque la Swan aveva ancora stabilimenti produttivi (la fabbrica originale restò in attività, sia pure con produzioni sempre più ridotte, fino al 1941) e dove la digitalizzazione dei brevetti e la loro indicizzazione è praticamente completa fino agli anni ’20. Un brevetto analogo se fosse stato registrato (ed avrebbe senz’altro avuto senso farlo, vista la presenza degli stabilimenti) sarebbe senz’altro emerso.
Se il motivo della scelta del Canada resta sostanzialmente un mistero, l’interesse per il sistema di caricamento della Columbus invece è abbastanza comprensibile. Nel 1932 la Swan mise in commercio il suo nuovo sistema di caricamento leverless contraddistinto dall’assenza di una levetta. Benché questo sia completamente diverso dal sistema riportato nel brevetto di Verga, è ragionevole supporre che l’azienda possa avere acquisito quest’ultimo durante la ricerca di un sistema di caricamento che evitasse l’uso della levetta laterale, salvo poi preferire una soluzione diversa.
Ovviamente allo stato dei fatti, estremamente scarni, si possono solo fare delle ipotesi come quella appena esposta, ma con il ritrovamento di questo brevetto si è aperta, almeno per me, una prospettiva del tutto inattesa.
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