Penciclopedia

Se la penna vi interessa più della spada

Fino all’ultima goccia

Scritto il 30 Marzo, 2020 | da | 3 Comments

Inizia con questo articolo una serie dedicata alla capacità delle varie boccette di inchiostro; non tanto la loro capacità nominale, che si trova indicata sulle confezioni, e che daremo per buona, quanto quella di farvi consumare l’inchiostro “fino all’ultima goccia“.

Capita spesso infatti di sentir propagandare una boccetta o un calamaio come dotati di una forma, o di un accessorio, o di qualche altro accorgimento ingegnoso magnificati come in grado di farvi consumare tutto l’inchiostro, fino all’ultima goccia. Cosa che forse può esser vero se usate una rientrante e tirate via l’inchiostro con una siringa (e forse anche se usate una snorkel pen), ma che in genere non lo è affatto.

Pertanto si è deciso di misurare quanto una boccetta di inchiostro sia davvero in grado di farvi caricare lo stesso sprecandone il meno possibile, semplicemente misurando quanto ne resta dentro una volta che non si è più in grado di caricarne altro. Il tutto valutando quando questo si può ottenere senza dover far nulla (caricamento ordinario), oppure usando la boccetta in posizione normale ma stando attenti a posizionare la penna per migliorare il pescaggio (caricamento attento), o usando le caratteristiche specifiche della boccetta (caricamento specifico), ed infine cercando di recuperare più inchiostro possibile anche con manovre tutt’altro che comode e scevre da rischio (caricamento acrobatico).

Pelikan 140

Pelikan 140 usata come riferimento per i caricamenti

Per dare un senso alla misura e renderla il più riproducibile possibile il confronto è partito dallo scegliere una penna da usare come esemplare di riferimento. Si è ovviamente evitata una snorkel pen, sarebbe stato troppo comodo per le boccette di inchiostro. La prima scelta è caduta su una Pelikan 140, che ha un pennino aperto di dimensioni ordinarie (lunghezza 1,82 cm) molto simile come dimensione a quello della gran parte delle penne di fascia economica. Dato però che questo pennino ha dimensioni abbastanza ridotte, se è deciso di usare anche una seconda penna di riferimento, una Duofold, con un pennino più grande (lunghezza 2,34 cm) , di dimensioni analoghe a quelle di un Jowo o Bock #6.

Duofold De Luxe

Seconda penna di riferimento: Duofold De Luxe

In questo modo si potranno avere delle misure abbastanza generiche e valide per la gran parte delle penne (dal medio/piccolo, al medio/grande), anche se il valore delle stesse è comunque da utilizzare sempre in maniera “relativa”, usando il confronto dei risultati fra boccette diverse.

Per eseguire la misura si è sempre iniziato pesando la boccetta di inchiostro lavata, asciutta e senza tappo. Questo è il valore di base che si è sottratto per determinare il residuo. La si è poi riempita di acqua e progressivamente svuotata caricando la penna. Si è usata una bilancia con precisione del centigrammo per pesarla dopo ogni estrazione.

Per determinare l’esaurimento della capacità di carico, oltre a vedere il livello di carica della penna osservando la presenza di aria nel serbatoio, si è pesato anch’essa ad ogni ricarica, verificando la quantità di inchiostro caricato rispetto alla capacità nominale della penna (circa 1.6 ml) in modo da verificare anche numericamente il sopraggiungere dell’esaurimento. Una volta rilevato che non era più possibile avere un caricamento significativo si è usato il peso della boccetta con il residuo per determinare la capacità di carico (sottraendo il peso a vuoto).

Si pubblicheranno negli articoli della serie i risultati delle varie misure, inserendo su una apposita pagina del wiki una tabella riassuntiva dei risultati raggiunti.

Post Scriptum – Addendum

Nelle misure delle tabelle inserite negli articoli della serie si misura lo svuotamento della boccetta con pesature successive del peso della stessa dopo ogni estrazione. La misura ad essa affiancata del peso della penna carica non serve a determinare quanto si toglie dalla boccetta (per cui non si misura il peso della penna una volta scaricata prima di riempirla un’altra volta).

Questa misura infatti non sarebbe mai precisa (mentre la differenza di peso della boccetta lo è) perché non è possibile ripartire da una condizione iniziale di penna scarica perfettamente identica ad ogni ciclo, almeno non in maniera pratica (per avere una misura precisa si dovrebbe svuotare e fare asciugare completamente la penna ad ogni ricarica).

Per questo si potranno notare nelle tabelle quantità di liquido estratto diverse pure in presenza dello stesso peso della penna carica: semplicemente in alcuni casi lo scaricamento della penna prima della ricarica è stato meno completo che in altri e si è caricato meno dalla boccetta.

Ma qui quello che interessa è quanto resta nella boccetta quando non si riesce a caricare più adeguatamente la penna. La misura della penna carica serve solo a identificare quando non si riesce più ad avere una carica adeguata rispetto alla capacità misurata (in maniera indipendente) della penna.

Fisime: lavare con l’acqua distillata

Scritto il 12 Marzo, 2020 | da | 2 Comments

Nel mondo delle penne stilografiche esistono una serie di indicazioni, idee, pratiche, che per inutilità e/o mancanza di utilità reale, nella mia personale opinione possono essere solo classificate nel campo delle fisime.

Una delle più comuni (nell’ambito della problematica del lavaggio delle penne) è quella dell’uso dell’acqua distillata, raccomandata per evitare il formarsi depositi di calcare, manco si stesse parlando dell’uso di una lavatrice, e non di una penna stilografica.

Riporto qui il risultato un breve calcolo fatto in un intervento sul forum: nella peggiore delle ipotesi ci vogliono 30 mila cicli di risciacquo e successiva asciugatura per depositare un grammo di calcare.

Il che significa che in pratica il problema del deposito di calcare non esiste, se non nei pensieri degli utilizzatori particolarmente ansiosi. Nonostante questo continuano a girare indicazioni, prive di qualunque fondamento, sull’importanza di usar l’acqua distillata per lavare le penne; indicazioni che sono inutili, se non dannose (per il portafoglio senz’altro, visto che l’acqua distillata non esce dal rubinetto).

In realtà però l’indicazione non è totalmente inutile, in fondo, se non altro, questa pratica può servire a placare l’ansia da possibile danneggiamento del proprietario di una penna. Ma si tratta, appunto, di alleviare una fisima.

La rinascita della Radius

Scritto il 2 Dicembre, 2019 | da | No Comments

Allo scorso Pen Show, o meglio, alla scorsa Mostra scambio di penne stilografiche e materiale da scrittura organizzata dalla ACPS il 23 novembre presso l’Hotel Majestic di Via dell’Indipendenza a Bologna, Ferruccio Furri ha portato in anteprima italiane i primi esemplari di stilografiche prodotte dal rinato marchio Radius.

La Radius è uno dei marchi più rinomati della produzione storica italiana, introdotto dalla SAFIS nel 1935, quando le politiche di italianizzazione forzata della lingua costrinsero la Società Anonima Pennini King a cambiare nome in Società Anonima Fabbrica Italiana Stilografiche e ad abbandonare il marchio The King.

Le nuove Radius si presentano con le forme della produzione classica del marchio, in particolare per la clip e le verette che richiamano quelle usate nei modelli storici degli anni ’30 e ’40. Purtroppo, essendo impegnato nell’organizzazione dell’evento, ho potuto provare la penna illustrata al centro della foto sovrastante solo per qualche minuto, apprezzandone la scorrevolezza della scrittura accompagnata anche da una certa flessibilità del pennino.

Ma oltre alla rinascita della produzione, Ferruccio si sta dedicando con passione anche alla ricostruzione della storia del marchio, ed in un futuro che si spera il più prossimo possibile, darà alle stampe un libro dedicato alla Radius.

Nel frattempo ho potuto ammirare un po’ del materiale originale che ha raccolto, come un espositore da rappresentante, una cassetta delle riparazioni, ed un espositore da negozio, tutti d’epoca. E con questi una serie praticamente completa dei diversi modelli storici prodotti dal marchio.

Visto l’impegno e la passione che ci sta dedicando, non posso che augurare a Ferruccio tutto il successo che merita.

Foto Pen Show di Torino 2019

Scritto il 15 Novembre, 2019 | da | No Comments

Lo scorso 9 novembre si è tenuto a Torino il Turin Penshow 2019, ed è stata un’ottima scusa per tornare in una città che mi piace molto, incontrare dei buoni amici ed ammirare alcune collezioni private con pezzi di grande interesse. Ma su questo tornerò in seguito, intanto pubblico le fotografie fatte in occasione del Pen Show.

Fisime: la conversione in eyedropper

Scritto il 2 Novembre, 2019 | da | No Comments

Mi è capitato diverse volte (è successo pure in un recente commento qui) di sentir parlare, consigliare o chiedere relativamente alla conversione a “eyedropper” (inteso in questo senso) di una penna.

L’idea in sostanza è quella di fare un balzo all’indietro di oltre un secolo (le penne con questo tipo di caricamento erano normali alla fine del 1800) e modificare il funzionamento di una ordinaria penna con caricamento a cartuccia per poter avere una (più) grande capacità di inchiostro.

Normalmente la cosa richiede di trovare un o-ring di dimensione opportuna e l’uso di grasso siliconico per poter trasformare in serbatoio il fusto di una ordinaria penna con caricamento a cartuccia. In questo modo si passerebbe dagli 0.7 ml di una cartuccia corta (o dagli 1.2 ml di una lunga) ai circa 2/3 ml che potrebbero entrare nel fusto.

L’o-ring ed il silicone servono ad evitare che l’inchiostro trafili via dalla penna non dal pennino, come fa normalmente, ma dalla giunzione fra corpo e fusto che normalmente non è progettata per essere a tenuta di liquidi. Talvolta risulta (almeno inizialmente) sufficiente l’uso di grasso siliconico, talvolta per la tranquillità di chi la penna se la porta in giro ed ha giustamente timore di trovarsi macchie dovute ad un utilizzo non propriamente normale della stessa l’uso di un o-ring è raccomandato.

Ma non sono i dettagli di una eventuale realizzazione della procedura che mi interessano, quanto approfindare l’utilità effettiva della stessa, che è, a voler essere buoni, parecchio dubbia. Se ci si vuole semplicemente divertire con una penna, tanto per provare qualcosa (forse scriverci non basta più), è un conto, idem se la penna è trasparente e fa piacere vederci dentro l’inchiostro colorato che sguazza, ma che ci sia davvero un miglioramento pratico ed una effettiva maggiorata capacità di inchiostro … direi proprio di no.

Anzitutto nell’operazione ci sono i rischi di perdite che se non si sigilla correttamente il serbatoio restano ben presenti, poi c’è il fatto che il grasso al silicone normalmente suggerito per migliorare la tenuta tende comunque a diffondersi (arrivando prima o poi all’alimentatore, con possibili effetti sul flusso dell’inchiostro). Anche inserire un o-ring e serrare è una cosa per cui la penna non è progettata, per cui il rischio di aumentare lo stress dei materiali (con relativo aumento dell’usura e delle probabilità di rottura) è reale. E sicuramente fare un cambio di inchiostro dopo la conversione richiederà delle operazioni di lavaggio un po’ più complicate del normale.

In tutto questo poi c’è un problema ben noto a chi usa le penne a contagocce (nel mio caso quelle originalmente tali) che quasi sempre viene sottaciuto, e cioè che a serbatoio poco carico la massa di aria contenuta della penna è sensibile al calore della mano, e la pressione fatta dall’aria contenuta nel corpo sull’inchiostro restante può causarne il gocciolamento, perché l’alimentatore non riesce a compensarla.

L’effetto dipende dalla bontà dell’alimentatore e da quanta aria resta nel corpo, ma maggiore la capacità del fusto, maggiore la sua incidenza. Onde per cui i più accorti avvisano di ricaricare comunque la penna quando l’inchiostro arriva a un terzo o a metà. Il che significa che alla fine una bella fetta dell’aumento di autonomia è puramente fittizio.

Ma alla fine il motivo che più di tutti mi spinge a classificare questa pratica come una fisima (magari divertente, ma non pretendiamo di dargli valore pratico) è comunque un altro: che senso ha fare tutto questo per ottenere una capacità di inchiostro di 2 o 3 ml, quando con una scatolina di cartucce se ne possono ottenere tranquillamente nella peggiore delle ipotesi 4 o 5?

PS: mi è stato detto che lo scopo è quello di far durare di più una singola carica di inchiostro, ma il tempo che si perde a ricaricare una penna a contagocce è senz’altro superiore a quello che si impiega a sostituire tre o quattro volte una cartuccia (per non parlare della scomodità dell’operazione che comporta portarsi dietro una boccetta e un contagocce).

Belgian Pen Show 2019

Scritto il 7 Ottobre, 2019 | da | No Comments

Lo scorso 29 settembre, come sempre il giorno successivo a quello di Tilburg, si è tenuto il Belgian Pen Show a Bruxelles, presso l’NH Hotel di piazza del Gran Sablon, e diversi degli espositori degli espositori presenti a Tilburg sono intervenuti, insieme ad altri venuti per l’occasione.  Pubblichiamo di seguito alcune foto della manifestazione, a queste seguiranno nei prossimi giorni, nella sezione attualità del wiki, le foto di alcune penne molto interessanti che è stato possibile fotografare durante il Pen Show.

Pen Show di Tilburg 2019

Scritto il 3 Ottobre, 2019 | da | No Comments

Lo scorso 28 settembre si è tenuta l’edizione del 2019 del Pen Show di Tilburg, uno dei più “antichi” fra i Pen Show europei. Purtroppo quest’anno, a causa della ristrutturazione del Museo di Storia Naturale, sede degli scorsi anni, l’evento si è spostato nel salone di un albergo in un paesino appena fuori Tilburg.

Nonostante la location non potesse competere con il fascino di quella dell’anno scorso, si è trattato come sempre di un Pen Show molto interessante e partecipato, come oltre trenta espositori, ed molto pubblico intervenuto. Quelle che seguono sono alcune foto della manifestazione.

Stantuffo o converter “prigioniero” ?

Scritto il 13 Agosto, 2019 | da | No Comments

Un numero sempre crescente di penne stilografiche di fascia alta, anche molto alta, vengono proposte con caricamento a stantuffo, ma andando ad analizzare come questo viene realizzato, si scopre in un gran numero di casi che si tratta di quello che fra gli appassionati viene chiamato un po’ dispregiativamente un “converter prigioniero” (o “captive converter“).

Il problema sta nel fatto che non esiste una definizione universale, o codificata in un qualche disciplinare, di cosa sia un caricamento a stantuffo. In genere quella che gran parte degli appassionati usano, e che si aspettano quando di parla di questo tipo di caricamento, è l’uso di un meccanismo azionato da un fondello rotante, che comporta lo spostamento di un pistone per caricare la penna, usando il corpo della stessa come serbatoio.

Secondo questa definizione l’uso di un “captive converter“, cioè di un meccanismo completamente separato montato sulla sezione, e su cui poi sopra viene costruito il corpo della penna, non è propriamente un caricamento a stantuffo e questo porta spesso, nelle discussioni degli appassionati, a considerazioni e giudizi molto aspri nei confronti di chi lo usa.

Ci sono però varie buone ragioni tecniche per non usare direttamente il corpo della penna come serbatoio, cosa che porta poi all’uso del cosiddetto “captive converter“.

La prima ragione è la riduzione della capienza, una cosa che può sembrare strana visto che per un qualche motivo è invalso il mito che le penne a stantuffo contengano più inchiostro, quando ben poche di quelle oggi in commercio superano la capienza di una cartuccia lunga.

Questa della scarsa capacità (della produzione attuale rispetto alle stilografiche antiche) è una caratteristica che hanno quasi tutte le penne recenti, che difficilmente contengono la quantità di inchiostro che andava sulle antiche.

Le cartucce hanno infatti un grande vantaggio, c’è una quantità limitata di inchiostro, con poca aria dietro l’inchiostro che l’alimentatore compensa con relativa facilità. Con le capienze che avevano le stilografiche di una volta compensare il maggior volume di aria diventa parecchio complicato, e con gli inchiostri iperscorrevoli di oggi diventa facile avere fuoriuscite, specie se le penne vengono sballottolate a giro, ed agli utenti trovarsi l’inchiostro nel cappuccio o altrove non piace troppo.

Per cui alla fine anche il più capiente degli stantuffi odierni non arriva a superare la capienza di due cartucce lunghe ed in genere vengono prodotte penne che per lo più hanno una capienza di carica di poco superiore al millilitro, riducendo la sezione del serbatoio. Che lo si faccia facendo una sezione interna minore, saldando fra loro due tubi, o utilizzando un “captive converter” il risultato in termini di capienza è sempre lo stesso.

La seconda ragione del “captive converter” è quella di evitare il contatto dell’inchiostro con il materiale “pregiato” del corpo della penna, che potrebbe reagire male. E sul quale poi ci si può sbizzarrire a piacere senza doversi preoccupare della resistenza all’inchiostro o della discolorazione.

Per entrambe le ragioni partire da un “captive converter” intorno a cui costruire la penna semplifica notevolmente la produzione. Sorge allora la domanda del perché non usare direttamente un converter ordinario invece di ricorrere al “captive converter“?

Qui ci sono due fattori: il primo è quello della percezione, per cui una penna stilografica con il meccanismo di caricamento integrato sembra avere più di valore rispetto ad una dotata soltanto di cartuccia/converter. Ma confrontando il costo di un CON 70 (un converter) e quello di una Dollar 717 (una penna a stantuffo, nella forma “tradizionale”) non sembra proprio che questo maggior valore intrinseco ci sia davvero (il primo costa almeno il doppio della seconda). Resta il fatto che questa percezione di maggior valore è molto diffusa e molti collezionisti considerano l’uso delle cartucce (e di un converter) come un indice di minor valore della penna.

Il secondo fattore è che con un “captive converter” si possono avere dimensioni, materiali e qualità superiori a quelle di un converter ordinario, potendo questo essere eventualmente più robusto non dovendo gestire la problematica dell’aggancio/sgancio dalla sezione e l’intercambiabilità con le cartucce.

Come esempio di questo si possono considerare ad esempio la gran parte degli stantuffi della Delta, che erano “captive converter” ma realizzati con un buon meccanismo con meccanica in  metallo, e dotati di protezione contro la forzatura della rotazione a fine corsa.

Resta il fatto che l’uso del “captive converter“, continua a creare discussioni animate ed aspre critiche tutte le volte che si scopre una penna proclamata essere con caricamento a stantuffo che lo usa.

Il punto è che la distinzione è ben chiara fra i collezionisti e gli appassionati, ma la scelta di usare come base della stessa il fatto che sia usato il corpo come serbatoio è comunque una scelta arbitraria, che fra i non appassionati potrebbe anche essere considerata una pura fisima. Inoltre in certi casi la distinzione è labile, anche la Pelikan 100 (la prima penna a stantuffo) aveva una “binde” a formare la parte decorativa esterna del corpo ed anche le Pelikan recenti (che restano un riferimento per le penne a stantuffo) hanno un corpo costituito da un doppio tubo.

Per quanto la cosa non possa piacere agli appassionati le aziende fanno i loro interessi e parlano di caricamento a stantuffo perché la penna si carica con la rotazione di un fondello che mette in azione il meccanismo di un pistone per aspirare l’inchiostro, sorvolando su quale parte della penna costituisca il serbatoio su cui scorre quest’ultimo. Non stanno dicendo una bugia, stanno volutamente usando (perché ovviamente gli conviene) una definizione diversa da quella in voga fra gli appassionati.

Non credo si possa in questo caso parlare di truffa, ma di mancanza di trasparenza si, perché questa è una descrizione generica che lascia una ambiguità e non chiarisce la differenza su come il suddetto caricamento viene realizzato. Ed è questo quello che non va bene, anche se nella realtà un “captive converter” non è di valore o tecnicamente inferiore (o superiore).

Siamo infatti di fronte ad una questione di percezione del valore, dal mio punto di vista assai poco fondata, ma questo non conta. Ma dato che nei prodotti di lusso la percezione è buona parte di quel che fa il prezzo, è pieno diritto di un appassionato chiedere chiarezza e sapere come è fatto il proprio caricamento a stantuffo. Ed è opportuno dare merito a chi questa chiarezza ce l’ha, e criticare chi invece non ce l’ha.

Foto Pen Show di Norimberga 2019

Scritto il 8 Giugno, 2019 | da | No Comments

Lo scorso 11 Maggio si è svolto il Pen Show di Norimberga, quest’anno in tono un po’ minore, con un numero molto più ridotto di espositori rispetto agli altri anni. Nonostante questo è stato una occasione preziosa per incontrare altri appassionati da tutto il mondo e fare nuove conoscenze. Quella che segue è una galleria di foto prese in occasione della manifestazione.

Foto Pen Show di Colonia 2019

Scritto il 12 Aprile, 2019 | da | No Comments

Lo scorso 6 Aprile si è svolta a Colonia la 31-sima edizione del meeting internazionale di collezionisti di penne stilografiche (in breve il Pen Show). Come sempre la partecipazione di espositori e pubblico è stata notevole, per quella che forse è la mostra più importante della Germania.

Come sempre è stata una occasione preziosa per incontrare altri appassionati da tutto il mondo e fare nuove conoscenze. Quella che segue è una galleria di foto prese in occasione della manifestazione.

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