Penciclopedia

Se la penna vi interessa più della spada

La noia dei “morti viventi”

Scritto il 2 Febbraio, 2011 | da | No Comments

La mia sarà un’espressione un po’ “tranchant” per dirla alla francese, ma parlare di morti viventi rende abbastanza bene l’idea di cosa penso di quella serie di marchi di produttori storici riportati in vita da operazioni commerciali di scarso respiro e dubbio gusto.

Negli anni ’60, con l’avvento della penna a sfera e della cultura dell’usa e getta le stilografiche passarono dall’essere per la maggior parte delle persone dallo strumento di scrittura più comune al relitto di un tempo che fu. Questo causò la morte della gran parte dei produttori minori (e anche di qualcuno di quelli maggiori), incapaci di adattarsi al cambiamento. Ed anche i marchi maggiori videro parecchi passaggi di mano e spostamenti degli stabilimenti produttivi.

Quando all’incirca negli anni ’90 la stilografica tornò in auge, sia come oggetto di distinzione che come strumento di scrittura (e se ne riscoprirono i vantaggi) si iniziò ad assistere alla resurrezione di marchi morti da decenni. Così tornarono sul mercato marchi come Conklin e Chilton negli USA, Onoto e Conway Stewart in Inghilterra,  Tibaldi ed Ancora in Italia.

Comune alla gran parte di queste operazioni era il tentativo di comprarsi un storia secolare da parte di produttori con nessun tipo di legame con le aziende originali, e cercare di coprire con una patina di storia che gli fornisse un po’ di interesse una produzione per molti versi speculativa e che di qualità proprie spesso aveva ben poco.

In alcuni rari casi ci sono stati dei risultati validi, ma la maggior parte delle volte le operazioni hanno avuto esiti assolutamente deludenti. Fra tutte quelle ho visto direttamente, le uniche penne che non sfigurano totalemente nei confronti di quelle da cui prendono ispirazione restano le prime riedizioni varate col redivivo marchio Tibaldi (non le terribili pacchianate che producono adesso…), che pur restando delle riproduzioni dei modelli storici della ditta, anche se non erano originali erano comunque realizzate in bellissima celluloide e con una qualità costruttiva altissima.

In tutti gli altri casi si è oscillato  fra la produzione di penne assolutamente insignificanti, quella di edizioni limitate dal costo proibitivo e dal significato nullo, fino alla produzione di oggetti inverosimilmente costosi e pacchiani, il cui solo senso sembra essere quello di dare nell’occhio e non di scrivere.

Alcune di queste operazioni sembrano aver esaurito la loro scarsa forza propulsiva. Ad esempio il sito della nuova Chilton è irraggiungibile, ed è notizia recente che la nuova Conway Stewart è stata posta in amministrazione controllata.

Alla fine purtroppo il risultato è stato quasi sempre lo stesso: quello di andare a scomodare una tradizione gloriosa per risultati deludenti, contraddittori sul piano stilistico (nell’oscillare fra il pacchiano e la copia)  e totalmente insignificanti sul piano tecnico, dove il caricamento a cartuccia brilla nella sua banalità in penne costose, anche nel caso di marche (vedi ad esempio la Onoto) distintesi proprio grazie alla innovazione creata in questo campo.

Per questo la mia impressione di fronte a queste operazioni commerciali è quella dei morti viventi: si sono sfruttati senza ritegno nomi legati ad una storia gloriosa a cui si sarebbe reso un miglior servizio lasciandoli riposare in pace senza scomodarli per tentare di dare un significato altrimenti assente a produzioni di dubbio gusto e di impatto assolutamente trascurabile.

Alla fine mi resta un grande punto interrogativo: che senso ha comprare delle penne recenti coperte con un marchio di grande storia, quando queste hanno costi assolutamente improponibili rispetto a penne ordinarie equivalenti, e soprattutto quando spesso per lo stesso prezzo (o anche a prezzi inferiori) si può ottenere un modello antico dello stesso marchio, che nel 90% dei casi scrive meglio, nel 99.9% dei casi è più bello e nel 100% dei casi non perde valore?

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